giovedì 13 maggio 2010

Alberto Martini per "Le malie del passato". Il mondo di Giovanni Bertacchi 1

              


                                                               Copertina di Alberto Martini

Il mondo di Giovanni Bertacchi è un libro in progress che si abbina on line a Giovanni Bertacchi Libroweb. E che come quest’ultimo troverà la sua necessaria sistemazione in una antologia su carta stampata. Qui compariranno aspetti, normalmente chiamati peritesto, e cioè immagini, documenti, curiosità, foto che riguardano il poeta del Canzoniere delle Alpi. A corredo della sua produzione poetica ed anche a testimonianza di come, a Chiavenna e in Valtellina, anche grazie alla scuola, il poeta viene ricordato e divulgato inventando uan sorta di manualistica regionale. Necessaria per conoscere la letteratura italiana come già auspicava Dionisotti. Claudio Di Scalzo discalzo@alice.it


IL POETA DELLE ALPI E IL PITTORE DANDY

Giovanni Bertacchi ebbe un fruttuoso rapporto con l’editoria, almeno fino a quando il fascismo e le sue strategie di controllo totalitario non imposero diversamente, e ne è testimonianza la copertina de Le malie del passato (1905): il racconto in versi del poeta è disegnata dai uno dei maggiori incisori e pittori italiani del simbolismo europeo: Alberto Martini. Che avrà anche una pregevole carriera come pittore echeggiante, in anticipo, tematiche surrealiste. Sembra che Martini venisse in visita spesso al Palazzo Vertemate. Ecco, un capitolo da ricostruire sarebbe questo: Martini in Valchiavenna e magari i suoi rapporti con Bertacchi se ci furono o se l’illustrazione fu un’idea semplicemente dell’editore.



Alberto Martini (Treviso 1876 - Milano 1954). Incisore e pittore. Determinante lo studio di Dürer. La sua grafica: disegno, incisione, ex-libris, illustrazioni, ebbe il momento di maggior fama quando essa si riversò nel rapporto con I racconti Straordinari di Edgar allan Poe, (1905-1908). E con le Feste Galanti del poeta francese Verlaine, (1911). Il mondo di Martini era assolutamente legato alla stagione simbolista e decadente. Nelle sue opere compare sempre il misterioso e l’ambiguità del reale. Anche la copertina rimanda a questa vocazione. Rendendo decadente quanto invece, nei versi di Bertacchi, è vocazione semplicemente malinconica e umanitaria. Nel 1928 Arturo Martini si trasferì a Parigi. Frequenterà gli artisti legati a Breton ma non aderirà al movimento surrealista. Nel 1934 ritornò a Milano e qui visse appartato fino alla morte.



                                                                                    Alberto Martini: Autoritratto




   

giovedì 6 maggio 2010

GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB 9: Percy, l’anima italica e il Pantheon del futuro.



                                                              Cimitero Acattolico di Roma




GIOVANNI BERTACCHI


LIBRO-WEB 9


Il poeta chiavennasco raccontò su La grande illustrazione d’Italia come si era messo sulle tracce dei “grandi poeti stranieri”, facendo una specie di Grand Tour che imponeva l’amore per i poeti letti e studiati, in questo caso i romantici inglesi, e una specie di calco da riproporre ai lettori composto di giornalismo culturale, si direbbe oggi, e di geografia delle idee. Claudio Di Scalzo


PERCY, L’ANIMA ITALICA E IL PANTHEON FUTURO

Del resto, più che da mala disposizione di Shelley, i suoi giudizi sul popolo italiano erano dettati da una ragione d’amore. L’Italia è così, perché schiava. I veneziani sono vittime delle orde austriache, da cui è oppresso questo miserabile popolo non più vivo, ma immerso in un sogno pieno d’angoscia e di oscuro terrore; in Roma la vita di trecento prigionieri in ceppi che estirpano le erbacce di Piazza San Pietro gli dà l’immagine del servaggio d’Italia. Venuto nel paradiso degli esuli e dei paria, esule e paria egli stesso, egli sapeva di incontrare dei fratelli di miseria e di esilio nei figli medesimi di questa terra e sentiva, in fondo al cuore, di amarli. Non appena il fremito della libertà, nel ’20, comincia a correre le contrade d’Europa e anche il mezzogiorno d’Italia ne è preso, egli, sperando vederlo comunicato alla sua lontana Inghilterra lo traduce nelle due odi solenni a Napoli e alla Libertà, suscitando nel canto le città italiche, belle e fiere come amazzoni, ciascuna con la grandezza sua: «Dalle isole tutto in su fino alla Alpi gelide, l’eterna Italia riscuotesi. Il mare onde son lastricate le solitarie vie di Venezia ride di luce e musica. Genova fatta vedova, pallida, al lume di luna sillaba gli epitaffi dei propri antenati, mormorando: - Ov’è Doria? – La bella Milano nelle cui vene lungo tempo corse – paralizzante – il velen della vipera, alza il tallone per schiacciar la sua testo... Firenze, sotto il sole, delle città la più bella, ha il volto soffuso di porpora per la speranza della Libertà...». È l’avvento, per allora immaturo, della patria mostra, al cui nome il poeta canta così: «Ciò che il sorger del sole è per la notte, ciò che il vento del nord è per le nubi, come l’ardente foga con cui il terremoto, passando, fa rovinar montane solitudini – eterna Italia! – quelle tue speranze e quei timori tuoi siano per te!».


* * *


Chiameremo noi col solo nome di ospite questo straniero che, giunto da poco fra noi si accampa con palpito così fraterno sulla soglia del nostro risorgimento? Nulla egli trascurò di quanto potesse introdurlo nel secreto dell’anima italica. Si avvolse inorridito negli anditi bui dei Piombi e di Sant’Anna, ove rivisse la passione del Tasso; si inebriò nelle tele del Correggio, di Raffaello, del Rosa; dalla Beatrice Cenci attribuita al Reni trasse ispirazione alla sua più profonda tragedia, che è la tragedia di una età e di una società italiana; non parve apprezzare degnamente nelle Sistina gli affreschi di Michelangelo che Camillo Boito definì “una tempesta del Bello”, ma sulla Medusa leonardesca scrisse versi di una potenza sinistra, simili ad altri suoi dai quali, per entro gli elisi eterei delle più delicate visioni, irrompono a tratti fasci di tenebre solcati dai lampi del Terrore e della Desolazione.
Nato anglo-sassone, possedette fin nelle sue grazie più occulte l’idioma d’Italia; penetrò a pieno nelle non facili intimità della poesia petrarchesca e ne svolse i Trionfi, innovandoli, sublimandoli in quel Trionfo della vita sulle cui vette egli salì per valicar nell’eterno. Avverso a ogni culto o dogma, ci insegnò una preghiera nuova, leggendo il Paradiso dantesco nella penombra del duomo di Milano; ripigliati i motivi del Convivio e della Vita Nuova, austeri di fredde astrattezze, pervasi di mistici sgomenti, irraggiati d’un riflesso un po’ pallido di ignote albe sideree, vi immise una più calda passione di vita, li rincolorò di tutte le tinte del creato, li rinutrì delle linfe dei sensi, perseguiti, blanditi, svolti l’uno dall’altro e l’uno all’altro intrecciati, dal colore al profumo al suono, in un processo continuante e cangevole, fin che essa, la parola, sembra venir meno sui cigli dell’infinito.
Certo lo spirito di Dante visitò per tempo il cuore di questo estatico aedo, che riconobbe la terra per salutarla dall’alto e in ogni donna vide un’Idea che lo congiungesse all’universo... «C’era un giovane – scrive egli stesso, in italiano – il quale viaggiava per paesi lontani, cercando per il mondo una donna, della quale esso fu innamorato». Nessuna patria terrena ospitava la donna anelata da lui: ma, di tutte le contrade, questa a cui egli venne per morire era la più vicina al suo sogno.
Per morire, per rinascere.
Se un giorno Roma erigerà un Pantheon al ricordo dei grandi Figli adottivi che ci amplificarono l’Italia, Percy darà fra gli eletti. Il verso di Enotrio nostro esalterà nel marmo l’effige del titano virgineo e i maggi latini rinnoveranno un loro tributo di rose al poeta del mondo liberato e della Favola eterna...


da La grande illustrazione d’Italia, settembre 1924



    

GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB: 8° capitolo. Chiavenna in cartolina

Giovanni Bertacchi svolse un’ampia attività di divulgatore delle bellezze di Chiavenna donando versi per didascalie a cartoline e per illustrare pagine di riviste dedicate al turismo. La lettera che pubblichiamo ne è una testimonianza. Se poi i lettori-navigatori e i custodi di memorie bertacchiane volessero aggiungere a questi versi le relative cartoline, come curatore di questo Libroweb, sarei lieto di ospitare tali immagini.



 
                                                                   Chiavenna sulla Mera


BERTACCHI E LE DIDASCALIE PER CARTOLINE DI CHIAVENNA


Chiavenna, 15 dicembre 1933

Carissimo,
ti accludo la tiritera calista. Se si deve leggere,
bisogna farne parecchie prove. = Vorrei poi pregarti di trascrivermi a
macchina, senza firma, le strofette seguenti e di rinviarmele con l’originale.
Grazie di tutto
tuo Giovanni


= Per la veduta di Chiavenna incorniciata dalla pianta:

Tutta la culla delle tue memorie,
buon Chiavennasci,di quassù si vede,
incoronata dal gran ramo arboreo
che si marca su lei come una fede.


= Per il sagrato in cui campeggia il campanile:

Sindaci ed arcipreti in serie antica
si successer nell’umile città.
Ei sol rimane; e par che benedica
ogni fede,ogni usanza ed ogni età.


= Per la veduta dello scoglio con birreria sul Mera

Scoglio e terrazzo ove sognai le prime
mie fantasie tra i cantici dell’onda,
e dove mi mescea la birra bionda
una musa gentil che non è più.


= Per la veduta del così detto cortile romano:

Di qual tempo mai sia questo cortile
non t’importi saper, visitatore:
alle case degli uomini lo stile
vien dai ricordi che v’aggiunge il cuore.


= Per la veduta complessiva del Borgo:

Fissa,Posina,il borgo mio paterno,
qual negli anni lo vidi e ognor l’amai,
prima che giunga il picconiere odierno
e in quattro colpi me lo butti giù.



  

GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB: 7° capitolo. Scritti di viaggio su Shelley




                                                                     Percy Bisshe Shelley
 


Scritti di viaggio su Shelley

Il poeta negli anni venti, inaugura una serie di viaggi sulle orme dei grandi poeti stralklusnieri che visitarono e scrissero sull'Italia e in Italia. Bertacchi di fatto inventa un Gran Tour calcato su altre tracce, anche poetiche, e di suo ci mette il piglio giornalistico e la sua ben nota enfasi. Un enfatista in viaggio? Sembrerebbe di sì. La sua predilizione va ai poeti romantici, Shelley su tutti. Lo Shelley dal destino di annegato ritrovato sulla spiaggia di Viareggio e lì bruciato su di una pira dall'amico Byron e dalla moglie Mary che ne ha salvato il cuore in una teca di cristallo. Lo Shelley che alla delicatezza univa una viva passione laica e libertaria. Alcuni dicono anarcoide.
Quanto qui compare è la parte finale di un articolo-saggio comparso su La grande illustrazione d'Italia nel 1924.
La parte più ampia è presente nell'annuario di Tellus, il 27, Dalla Torre pendente alle Alpi, con il titolo emblematico di "Un alpino a Viareggio" anche se nel suo "viaggio" Bertacchi racconta Shelley pure a Pisa e sul Serchio.

Percy Shelley, l'anima italica e il Pantheon futuro
Del resto, più che da mala disposizione di Shelley, i suoi giudizi sul popolo italiano erano dettati da una ragione d’amore. L’Italia è così, perché schiava. I veneziani sono vittime delle orde austriache, da cui è oppresso questo miserabile popolo non più vivo, ma immerso in un sogno pieno d’angoscia e di oscuro terrore; in Roma la vita di trecento prigionieri in ceppi che estirpano le erbacce di Piazza San Pietro gli dà l’immagine del servaggio d’Italia. Venuto nel paradiso degli esuli e dei paria, esule e paria egli stesso, egli sapeva di incontrare dei fratelli di miseria e di esilio nei figli medesimi di questa terra e sentiva, in fondo al cuore, di amarli. Non appena il fremito della libertà, nel ’20, comincia a correre le contrade d’Europa e anche il mezzogiorno d’Italia ne è preso, egli, sperando vederlo comunicato alla sua lontana Inghilterra lo traduce nelle due odi solenni a Napoli e alla Libertà, suscitando nel canto le città italiche, belle e fiere come amazzoni, ciascuna con la grandezza sua: “Dalle isole tutto in su fino alla Alpi gelide, l’eterna Italia riscutesi. Il mare onde son lastricate le solitarie vie di Venezia ride di luce e musica. Genova fatta vedova, pallida, al lume di luna sillaba gli epitaffi dei propri antenati, mormorando: - Ov’è Doria? – La bella Milano nelle cui vene lungo tempo corse – paralizzante – il velen della vipera, alza il tallone per schiacciar la sua testo... Firenze, sotto il sole, delle città la più bella, ha il volto soffuso di porpora per la speranza della Libertà...” E’ l’avvento, per allora immaturo, della patria mostra, al cui nome il poeta canta così: “Ciò che il sorger del sole è per la notte, ciò che il vento del nord è per le nubi, come l’ardente foga con cui il terremoto, passando, fa rovinar montane solitudini – eterna Italia! – quelle tue speranze e quei timori tuoi siano per te!”.
* * *
Chiameremo noi col solo nome di ospite questo straniero che, giunto da poco fra noi si accampa con palpito così fraterno sulla soglia del nostro risorgimento? Nulla egli trascurò di quanto potesse introdurlo nel secreto dell’anima italica. Si avvolse inorridito negli anditi bui dei Piombi e di Sant’Anna, ove rivisse la passione del Tasso; si inebriò nelle tele del Correggio, di Raffaello, del Rosa; dalla Beatrice Cenci attribuita al Reni trasse ispirazione alla sua più profonda tragedia, che è la tragedia di una età e di una società italiana; non parve apprezzare degnamente nelle Sistina gli affreschi di Michelangelo che Camillo Boito definì “una tempesta del Bello”, ma sulla Medusa leonardesca scrisse versi di una potenza sinistra, simili ad altri suoi dai quali, per entro gli elisi eterei delle più delicate visioni, irrompono a tratti fasci di tenebre solcati dai lampi del Terrore e della Desolazione.
Nato anglo-sassone, possedette fin nelle sue grazie più occulte l’idioma d’Italia; penetrò a pieno nelle non facili intimità della poesia petrarchesca e ne svolse i Trionfi, innovandoli, sublimandoli in quel Trionfo della vita sulle cui vette egli salì per valicar nell’eterno. Avverso a ogni culto o dogma, ci insegnò una preghiera nuova, leggendo il Paradiso dantesco nella penombra del duomo di Milano; ripigliati i motivi del Convivio e della Vita Nuova, austeri di fredde astrattezze, pervasi di mistici sgomenti, irraggiati d’un riflesso un po’ pallido di ignote albe sideree, vi immise una più calda passione di vita, li rincolorò di tutte le tinte del creato, li rinutrì delle linfe dei sensi, perseguiti, blanditi, svolti l’uno dall’altro e l’uno all’altro intrecciati, dal colore al profumo al suono, in un processo continuante e cangevole, fin che essa, la parola, sembra venir meno sui cigli dell’infinito.
Certo lo spirito di Dante visitò per tempo il cuore di questo estatico aedo, che riconobbe la terra per salutarla dall’alto e in ogni donna vide un’Idea che lo congiungesse all’universo... “C’era un giovane – scrive egli stesso, in italiano – il quale viaggiava per paesi lontani, cercando per il mondo una donna, della quale esso fu innamorato”. Nessuna patria terrena ospitava la donna anelata da lui: ma, di tutte le contrade, questa a cui egli venne per morire era la più vicina al suo sogno.
Per morire, per rinascere.
Se un giorno Roma erigerà un Pantheon al ricordo dei grandi Figli adottivi che ci amplificarono l’Italia, Percy darà fra gli eletti. Il verso di Enotrio nostro esalterà nel marmo l’effige del titano virgineo e i maggi latini rinnoveranno un loro tributo di rose al poeta del mondo liberato e della Favola eterna...

                                                              Giovanni Bertacchi

”L’Italia nei ricordi dei grandi poeti stranieri, Percy Bisshe Shelley”
da La grande illustrazione d’Italia, settembre 1924


GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB: 6° capitolo. Un momént de nostalgia




                                                        Giovanni Bertacchi con il nipote, 1925


Il poeta scrisse poesie in dialetto in tarda età. Nel 1929 infatti aveva già sessanta anni. In questa data esce anche la sua ultima raccolta in lingua: “Il perenne domani”. Sembra quasi, a chi cura questo Libroweb, un solitario passaggio di testimone dentro l’animo del poeta chiavennasco, che stanco, deluso, isolato per il suo antifascismo, medita di aggrapparsi al dialetto per rinforzare ancor più la tenace resistenza alle camice nere e ai saluti romani preludio di ogni persecuzione. Le poesie dialettali di Bertacchi sono state raccolte - con grande intelligenza filogica e commentate nella loro genesi e sviluppo - da Guido Scaramellini e dunque a questo libro, più volte ristampato, si rimanda. L’ultima edizione contiene anche preziose foto: Giovanni Bertacchi, Poesie dialettali, Chiavenna 2001, Edizione Pro Chiavenna.
Nel Libroweb pubblichiamo “Un momént de nostalgía”, che è una delle più lette e ricordate in terra chiavennasca e lombarda. La poesia venne pubblicata sulla rivista Il torototèla nel 1° gennaio del 1933. Assieme, a comporre quasi un ideale trittico (e in futuro anche queste proporremo ), c’erano anche “Quarant’an de scöla” e “I mè visit d’invèrno”. La rivista ovviamente era minuscola, poco diffusa, ma dopo l’avvento del fascismo al poeta non rimanevano che riviste simili oppure legate, come Alba Serena, al mondo dei ciechi. Inutile qui rimarcare l’idiozia, storica e culturale, che prima della guerra scatenata da Hitler e Mussolini, in Italia si stesse tutto sommato dentro una società autoritaria e non totalitaria, che a volte leggiamo persino su giornali come Il Corriere della Sera. Basterebbe che tali esimi storici si rileggessero le testimonianze di Luigi Medici, amico intimo del Bertacchi, che del giornale milanese fu direttore, per provare quantomeno imbarazzo. Ma torniamo alla poesia dialettale che “racconta” un Natale da escluso, un Natale dove l’affidarsi a scaglie immaginarie della propria terra, non può che produrre nostalgia.
Bertacchi tocca tutte le corde del patetico sentimentale con una vena di romanticismo da ballata, un novellare da veglia e da vigilia in fronte al sacro della festività: c’è la trattoria, luogo per eccellenza di solitudine, dove cena pensando a Chiavenna, e per scaldare la pietanza non resta che ripensare alla fanciullezza. Fra i tanti squarci evocati, che danno anche dolore mediato dalla malinconia, prende forza la ricerca dell’adolescente Bertacchi, in Pratogiano, di muschio e di alloro per il Presepio. Con questa immagine di dedizione intenta ad addobbare l’evento fondamentale della cristianità - alla quale anche chi scrive, ad altre latitudini, quelle pisane, ha partecipato - concludo il mio breve commento a una poesia memorabile che genera in me il rimpianto di non saperla leggere come si deve; ma i lettori, che spero numerosi di questo capitolo del Libroweb, lo faranno sicuramente al meglio, e proprio la vigilia di Natale. Cds, il 24 dicembre 2005



Un momént de nostalgía

Quant Ciavena la se inòcia
sü, tra mèz ai sò montàgn,
cont quii sò gandón de ròcia
che stravaca in d’'i campàgn ;
quant da quest a quel paees
i se ciaman tüti i gees,

mi, úbandii de Lombardía
dal decrét del mè destín,
cerchi un pòst in tratoría,
cerchi l föoch d’un quai camín,
e stòo lí a guardà l pasaa
cont i öc imbambolaa

Çco; pròpi in 'sto momént
sum chi, dent in d' una stanza,
bèl al còlt, coi sentimént
tüt velaa de lontananza
Còsa gh'é 'l che viif o möor
in l' inverno del mè cöor ?

Föra 'l fiòca: in sül velari
che vegn gió sü tec e straat,
come in font a un gran scenari
se profila i mè valaat.
Forsi a ' st' ora, sü a Ciavena,
sonaràn per la novena.

O novena de Natàl,
tanto vegia e sempar növa,
paar che l cel de la mia val
a sentít al se comöva;
paar che pròpi l sia là sü
el preúepi de Geúü.

Caar preúepi, me regòrdi!
Coi compàgn, finii la scöla,
se coreva tüc d’acòrdi
sü per Prost e per Capiöla
a cercà, fra i èrboi mat,
òri, müfa e spungiaràt.

Pö in d’i stüf l era un defà
a tra insém la scena viva:
gh’era i pàscoi, gh’era i ca,
gh’era i sonadoo de piva,
e l Bambìn, che fa la nana
tra i du bèsti, in la capana.

Quanti ròp a nün bastrüch
me parlava in questa scena,
fada sora a quatar sciüch
lungo i dì de la novena!
Ghe sentivom al riciàm
de la feet di nòstar mam.

Na l vegniva pö l gran dì
che in quel quadar inocént
se vedeva a comparí
i trè Magi de l oriént,
i trii rè: Gaspar, Melchiòr,
Baldasàr, cont i teúòr.

In la nòc quii rè inscí bèi,
filànt via a vün a vün,
i portava süi camèi
un quaicòs anca per nün...
Nün a scüur, coi öc avèert,
trepignavom sot ai cuèert.
E l dí dòpo un carnevaa
tra tüc nün compàgn de giöoch:
magatèi, trombét, soldaa,
cont i eúempi arènt al föoch.
Fèsta granda, incoronada
d’una zena prelibada.

Ma, pö dòpo, che magón
tornà chiét sot ai lenzöo!
Piü vin. dolz, piü panéton,
tüt finii, i mè pòvar fiöo...
Domàn... scöla!Epifanía
tüti i fèst i a pòrta via!

GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB: 5° capitolo. Le Alpi




                                                                     Baita Segantini




LE ALPI

I verdi balzi e i pascoli ridenti,
reduce pellegrino, (1) ho riveduto;
ai ghiacci eterni, ai fiumi ed ai torrenti
ho ridato dal cuore il mio saluto.

Qui dov’io seggo schiudesi agli intenti
sguardi (2) il riso del ciel limpido e muto;
qui dov’io seggo il mio pensiero in lenti
desideri di pace erra perduto.

La catena dell’Alpi in ampio giro
variata di nevi e di pinete
in vallate profonde, ecco, s’adima (4) .

E vagabonda (5) d’una ad altra cima,
solca una nube l’immortal quiete
della nitida volta di zaffiro.


Le Alpi (dal Canzoniere delle Alpi, 1895 ). L’imponente visione del paesaggio alpino ispira a Giovanni Bertacchi, desideroso di solitudine e di pace, questo sonetto che ha i tratti della pensosa semplicità tanto cara al “sentire” post-romantico.
Metro: sonetto. Schema: ABAB, ABAB, CDE, EDC.

(1) Di ritorno da un lungo viaggio.
(2) Si mostra ai miei “sguardi intenti”, ammirati.
(3) ”Variata”: fatta varia: resa bella.
(4) “s’adima”: si abbassa.
(5) “E vagabonda”: e la volta celeste, azzurra e limpida come zaffiro, eternamente quieta, è solcata appena da una nuvola che vaga (vagabonda) di vetta in vetta.

GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB: 4° capitolo. Venezia







Il poeta chiavennasco si spostò molto in Italia e all’estero e la sua produzione diaristica come giornale da viaggio, attende una sistemazione che io spero e con questo LibroWeb di approntarla progressivamente. Intanto inserisco nel LibroWeb una poesia - non presente nelle raccolte e che compare in un taccuino senza data - dedicata a Venezia.

Il Bertacchi è capace di realizzare la sua ispirazione oggettivando l’immagine senza eccessive descrizioni proprio nelle poesie brevi. Era questa l’opinione di Francesco Flora che ne curò, non dimentichiamocelo, l’opera completa (anche se poi sono stati trovati altri inediti e alla parte poetica, secondo me, dovrebbe essere affiancata quella in prosa e aforistica) in una edizione ora introvabile curata nel lontano 1964.

Metro: due strofe di quartine di versi endecasillabi, con un’anomalia: il quarto verso, infatti, della prima quartina, è un settenario. Schema ABAB, CEEC.


VENEZIA

Oh dolce alla sognante anima, e mesto
dei marmorei palagi al limitare,
questo risucchio d’onde morte, questo
mare che vien dal mare.
Te la malia delle perdute istorie
penetra e cinge al par de’ suoi canali,
Città che desti al mondo anni fatali
né sai disfarti delle tue memorie!


vv 1-4, Oh dolce alla sognante anima...
Evocazione colma di empito musicale. Il poeta suggerisce delle onde che sono isolate dalla loro primaria fonte vitale che è il mare, dunque le onde veneziane hanno la valenza di essere morte o quantomeno diverse e senza madri. Il risucchio di tali onde al poeta è verosimilmente dolce ma anche inquietante mentre lambisce le fondamenta di marmo dei preziosi palazzi. Anch’essi stordenti nei loro perduti compiti verso chi lo aveva edificati e abitati al colmo della potenza marinara.
vv 5-8 Te la malia...
Hanno un incanto particolare gli eventi storici che si smarriscono nel flusso del tempo e che la città avvolgono, inconsumabili nei loro echi, come fanno i canali. In chiusura il poeta si rivolge a Venezia dicendole che per conservare, miracolisticamente quasi, le memorie ne porta anche il peso. Venezia infatti determinò la storia di buona parte del medioevo italiano affidandosi poi a una lunga ed estenuante decadenza in epoca moderna.


mercoledì 5 maggio 2010

GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB: 3° capitolo: Alti pascoli

 




Il Libroweb presenta una poesia tratta dal Canzoniere delle Alpi, come Alti pascoli, e la commenta con scelta manualistica e didascalica come appunto si conviene a un libro che sulla rete ambisce a coinvolgere studenti e scuole in un rinnovato studio di Giovanni Bertacchi. E’ questa un’esigenza molto sentita, unitamente a che siano messi in circolo i testi, anche meno conosciuti del poeta, perché finora ogni riedizione delle sue poesie, più o meno illustrate, non hanno mai avuto commenti e note. E per il lettore, ma anche per chi studia, questo apparato è assolutamente necessario. Alti pascoli (dal Canzoniere delle Alpi, Editore Baldini e Castoldi, Milano, 1895). Bertacchi in questa sua raccolta, la sua più famosa e diffusa, propone rarefatte scene alpestri e figure di pastori, alpigiani, viaggiatori, che della montagna hanno fatto il basamento della loro esistenza. In questa poesia il poeta traccia anche la sua idea di bellezza che germina nel potere risanatore della natura. Una natura genuina e insieme possente. Esserne avvolti evita al soggetto di essere fagocitato dal nulla. I versi sono anche un elogio della lentezza: delle mandrie e degli uomini che seguono i ritmi delle stagioni. Lentezza che coinvolge anche la parola nel suo intento di modellare le cose e gli eventi. Esplicito il richiamo alla ritualità che la vita collettiva assume attraverso il lavoro e la fatica. Il mito positivista ha toni d’intimità sacrale in Bertacchi. E su questo si rimanda all’antologia bertacchiana compresa in “Scritture celesti” (Tellus 24-25). L’uso del simbolo e la seduzione che riceve dal rito e da visioni panteistiche presenta un Bertacchi molto più complesso di quanto certe semplificatorie note biografiche sulla sua esistenza hanno diffuso fino ad oggi.

Metro: strofe di quattro versi, dei quali il primo e il terzo costituiti da doppio ottonario, e il secondo e il quarto da endecasillabi. Le rime sono incrociate: ABBA.


ALTI PASCOLI

Sul ciglio delle alture la greggia ondulata (1) appariva,
ed eretto sovr’essa alto il pastore;
grande così sul cielo, pareva il selvaggio signore
di non so qual vagante isola viva (2)

Sui cigli della storia (3) sempre così eguale s’affaccia
la greggia d’ogni età, d’ogni contrada:
sembra una stessa torma che vada nei secoli e vada,
seguendo una fedele unica traccia.

Oh, quando esse (4), annunciando le due ritornanti stagioni
salgono ai monti e tornano, tra i nimbi
degli odorosi velli le madri sospingono i bimbi,
quasi ad un rito che li renda buoni.

E che bontà (5) pacata quassù, dove i miti pascenti
traducon la pastura in bianche lane!
Come uno scampanio che giunga da sagre lontane,
suonano i bronzi de’ quieti armenti.

Per disciplina inconscia (6), serbata nei tempi e negli usi,
sfilan le mucche lentamente a sera,
e le accompagna in lunghe cadenze d’antica preghiera
quel tremolar di tintinnii diffusi.

La terra travagliata (7) che giù nell’aperta pianura
riferve al solleone e s’affatica;
su cui negli arsi piani (8) si curva e s’indugia l’antica
opera umana, al par d’una sventura,

quassù tutta si stende ne’ verdi ristori e produce
spontanee messi in fertili riposi,
e canta a salmi (9) d’acque pregando pe’ mai odorosi,
purificata nella tersa luce (10)

Qui fra la terra (11) e l’uomo non è che quest’opera viva
che si compie pascendo, al forte clima;
vicina ad esso e sempre ai primi elementi, alla prima
flora del suolo e all’acqua di sorgiva.

Poeta, hai tu saputo stancarti, salendo alle nevi (12)
e discendendo per le vie dirotte?
Poeta, è questo il premio: dormire sul fieno una notte
e risvegliarti nel mattin degli evi! (13)


(1) Ondulata: ondeggiante. - La greggia appare ondulata perché i dorsi delle pecore offrono sinuosità allo sguardo e ritmato movimento.
(2) Quest’ isola viva non è che la distesa mobile costituita dalla massa compatta delle pecore che si muovono tutte insieme.
(3) Sui cigli della storia: in ogni epoca del passato (sui cigli della storia) le greggi si sono spostate con movimento identico a quello di oggi; sembra quasi che una sola torma, sempre la stessa, percorra da millenni le medesime vie del mondo.
(4) Oh, quando esse: quando il gregge nell’autunno scende al piano e in primavera ritorna ai monti (le due ritornanti stagioni), le mamme sospingono i bambini in mezzo ai riccioli delle pecore lanose (tra i nimbi degli odorosi velli) come per un rito, perché sperano che quel contatto li renda migliori. (5) E che bontà: e che tranquilla pace (bontà) quassù fra i monti, dove i miti animali che pascolano (i miti pascenti) trasformano le erbe in bianche lane! - L’erba infatti nutre la pecora e le consente di rinnovare continuamente il suo mantello di lana. Sagre: feste.
(6) Inconscia: inconsapevole; istintiva. e le accompagna con un ritmo somigliante a quello di antiche preghiere. Quel tremolar: quel suono tremolante delle campanelle che di lontano (tintinnii diffusi)
(7) La terra travagliata: la terra esausta che giù nella pianura ribolle al sole e continua nella sua dura fatica (e s’affatica).
(8) Su cui negli arsi piani: sulla quale l’immutabile lavoro umano si curva e si dedica attorno alle zolle arse dal sole come per una sventura voluta da Dio (al par d’una sventura); questa stessa terra quassù sui monti tutta si apre alla gioia del verde (ne’ verdi ristori).
(9) E canta a salmi: e innalza canti con la voce delle sue acque (salmi d’acque) invocando da Dio profumate fioriture. Maio significa maggio; e mai, in senso traslato, può indicare i prodotti del mese di maggio. Soggetto di canta è sempre la terra di cui al verso 21
(10) Purificata nella tersa luce: la terra di montagna viene purificata dalla limpida luce.
(11) Qui fra la terra: qui sulla montagna fra l’uomo e la terra non c’è che il lavoro del gregge, che si compie pascolando, all’aria possente e pura delle grandi altezze; lavoro che si svolge accanto all’uomo (ad esso) e sempre vicino agli elementi più semplici della natura (ai primi elementi) quali la vegetazione spontanea del suolo e l’acqua delle sorgenti (sorgiva).
(12) Salendo alle nevi: salendo in alto. - vie dirotte: sentieri scoscesi.
(13) Il premio di chi ascende le alte vette è questo: dormire una notte sul fieno di un ricovero alpino e svegliarsi all’alba in mezzo a una natura che è rimasta eguale a quella del momento della sua creazione.


martedì 2 marzo 2010

GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB: 2° capitolo





Le vie della vita (1898-1899)

Giovanni Bertacchi si dedicò nel corso della sua produzione letteraria anche all’aforisma, alla massima, alla prosa poetica breve, alla considerazione morale. È questa la parte della sua opera totalmente sconosciuta ai lettori. In buona parte non pubblicata perché contenuta inedita nei taccuini (spesso di difficile lettura e decifrazione) e perché disseminata su riviste e giornali di scarsa diffusione o sottoposti alla censura fascista. Nel 1929 il poeta iniziò a pubblicare - sulla rivista Il Pensiero, rivista quindicinale di letteratura, teatro, arte, scienze, varietà - alcuni frammenti. Accompagnandoli con una sua lettera che offre preziose informazioni sulla loro stesura. In prima pagina viene data notizia dell’inizio della sua collaborazione. I frammenti, che vengono indicati come “Frammenti dal libro non nato”, probabilmente su suggerimento dello stesso poeta, hanno anche un titolo più grande in copertina che è “Le vie della vita” e fra parentesi le date di stesura: 1898-1899. In seguito Bertacchi continuerà la pubblicazione di suoi “Frammenti” raccogliendoli sotto il titolo. “Come l’attimo detta” e su questa rivista e sul Giornale dei ciechi Alba Serena. Libroweb intanto inserisce nelle sue pagine quanto pubblicato sui giornali citati e poi pubblicherà anche gli inediti direttamente dai Taccuini del poeta e depositati presso il Fondo Giovanni Bertacchi al Centro Studi Storici Valchiavennaschi di Chiavenna. Per rapide informazione si rimanda al mio breve saggio, “Bertacchi, l’uomo che lavorò da stella a stella” che compare in Giovanni Bertacchi, cinquantesimo della morte, 1942-1992, Atti del convegno di studio, Chiavenna 27-28 novembre 1992, a cura di Guido Scaramellini, volume edito dal Comune di Chiavenna nel 1997 e disponibile in ogni Biblioteca.


Pregiatissimo Sig. Direttore,

Le mando per Il Pensiero due cosette mie: una specie di leggenda italica e una certa diavoleria sconnessa e caotica che non potrei definirLe e che è certo assai arrischiata. Mi conceda, per questa, due righe di chiarimento. Tempo addietro, essendomi trovato, per ragioni di sgombero, a smuovere alcuni giacimenti cartacei dei mio ormai profondo passato, misi le mani in un blocco di quadernetti scompaginati e di foglietti extravaganti ove in anni lontani ebbi a segnare, confusamente, pensieri, appunti, spunti, abbozzi, impressioncelle primordiali d’uno che avrebbe dovuto essere un romanzo poetico dal titolo Le vie della vita. Si tratta d’un disegno concepito e accarezzato sullo scorcio dell’altro secolo, subito dopo la stampa di certi miei Poemetti lirici, pervaso ancor tutto dello spirito generatore di questi. Rileggendo quei frammenti provai, Le confesso, un certo suggestivo diletto della cui portata non saprei farmi un’esatta opinione, e che probabilmente mi proveniva dall’improvviso risorgere di tutto un mio passato mondo ideale. Come però io credo che i così detti frammenti, per poco di significato che contengano, possono ritenersi delle vere piccole liriche, offrendo l’impressione immediata, il balzo inatteso, lo scorcio pittorico e l’intuizione fantastica proprie del lirismo, così mi sono arrischiato a trascriverne e a mandargliene alcuni. Con… (parole illeggibile nella copia disponibile in archivio) disegno – che sarebbe inane e stolta presunzione – ma solo intendo presentare all’attenzione altrui – favorevole o contraria qual sarà – un saggio della incoerente unità che la poesia assume in tali casi.

Mi abbia per il devotissimo
Suo Giovanni Bertacchi



1 L’umanità, quando ci si vive dentro, appare facilmente come un gran fatto normale, nelle sue cose belle e brutte, buone e cattive, perché c’è più o meno di partecipazione nostra, di cui ci diamo volta per volta ragione. Quando invece la si considera nel suo complesso e quasi straniandoci da lei, allora ne concepiamo l’idea drammatica, solenne, messianica e la vediamo salire, scendere, cadere, risorgere lungo la via dei secoli, per vicende misteriose e grandiose.

2 Le cose e i fatti disgregati e incomposti appaiono, sbocciano, erompono, si spargono, si raccolgono da varie parti, simultaneamente o in tempi diversi, fin che a poco a poco insistendo, incontrandosi, fondendosi, coordinandosi, trovano il loro schema e il loro ritmo, che in se stesso concilia il massimo di complessità col massimo di disinvolta semplicità.

3 Come il battito della locomotiva, propagandosi a tutto il convoglio, pulsa e risuona sotto il gran carico umano, sotto il tumulto muto degli innumerevoli affetti che il treno porta con sé, distribuito nelle tre classi sociali, così sotto le sovrastrutture ideali onde è composta la storia, palpita, avvertita o no, la nuda potenza economica.

4 «Or la terra è la più profittevole di tutte le altre cose: il re stesso è sottoposto al campo». (Eccles. Cap. V, vers. 9)

5 I figli. - Sono gli agricoltori, riposanti o dormienti sulla terra, al piede degli alberi, come in grembo a una perenne maternità.

6 Io vorrei si inaugurasse un ritorno dei clerici vagantes, e rimormorare i miei salmi laici prono sul grembo della terra, che noi amiamo ormai d’un terribile duplice amore, culla di singole vite, madre di epopee e di storie...

7 Desumo da un giornale del 25 luglio 1899, che parla dell’Italia meridionale: Quella terra cui la natura ha dato tanta fecondità di biade e di ingegni, ma della quale i sistemi sociali e politici parevano avere isterilite le energie della razza come hanno esaurite la originarie virtù della gleba». Dal che si può ben giungere a dire di una vera e propria redenzione della terra, non solo in senso (manca una riga nella copia citata) coltiva o possiede, ma nel senso della terra medesima, che assurge al pieno sviluppo di tutte le sue facoltà, promovendo a sua volta un umanesimo nuovo.

8 Era vissuto sempre d’una minuta intima vita, aggiungendo un pensiero ad ogni cosa, involgendo ogni cosa di fantasie sentite, affettuose, passionate. Or questo vivere in tal modo, questo trovar sempre una rievocazione di sensi e di ricordi nel più insignificante dei suoni, nel più fuggitivo degli odori, non era già per sé stesso quasi un’arte, una vera arte in azione? E un giorno si trovò maturo sul labbro questo canone di poesia: «È tempo che anche le cose assurgano a protagoniste nel dramma poetato degli uomini».

9 La merce, la devota della vita. Dove si festeggia una fede, dove avviene un passaggio o un convegno di gente, la merce è là, oscura o appariscente, fresca o stantia, sincera o adulterata, per tutte le classi, per tutti i bisogni, per tutti i capricci. Coi reggimenti che marciano, con le comitive che migrano, coi bastimenti che salpano, spunta l’umile utile appendice, che lucra, sfrutta, tenta, si illude, si delude. O trascurati aspetti di vita che l’anima compenetra di sé, aggiungete voi pure i vostri ritmi al poema delle giornate e degli anni! E chiamare a questa equa gloria anche voi, profili inavvertiti; linee disconosciute, pallori e rossori di bellezze popolane e borghesi, che passate fra noi senza dramma e pur siete l’estetica viva delle nostre ore vagabonde, dei nostri ozi, delle stesse opere nostre, episodi della bellezza collettiva, sfiorata passando dall’ala del desiderio... Si dice: - La donna del popolo. - Ma ci sono fatti e momenti in cui la dignità del sesso è eguale per tutte: lo stesso interrogar lento, la stessa raccolta intensità dello sguardo, la stessa prima austera difesa innanzi alle proposte primissime... E poi le zone della carne, dove cessano la sartina e la dama e resta, dominio assoluto, la Donna.

10 Il contadino che lavora, che vive aderendo alla terra, sembra una forma svoltasi o svolgentesi lentamente di là. Egli c’insegna l’origine, egli c’insegna la mèta: e ostinato la fruga, la rifruga col ferro, vi getta, come un’anima, la semente, restituisce in vita la vita che la gran madre gli dà.

11 Il credo. – Le cose, le acque, le erbe, i venti sono i miei articoli di fede. Non dico: Così sia, ma: Così è.

12 Il paesaggio alpino, nelle conche ampie, sui dossi, è stranamente nitido quando falciano i fieni. Esso è pieno e sparso d’una tacente opera, è palpitante, mosso qua e là di uomini che paion rifusi nel verde: essi lavorano, passano, scendono, spiccano grandi grandi sui cigli. E così delle greggi, dei cavalli pascenti, migranti come nei secoli, come nei poemi esiodei.

13 Animali al pascolo. La disciplina del re-uomo lenta, v’ha domato ne’ tempi; pel gran verde io vi vedo pascere tranquilli. Sembra continuare in voi la sonnolenta inerzia dell’alpe. Solo, talvolta, un rilevarsi fiero del capo... Udite forse allora un richiamo dell’evo antichissimo? Oh trapassanti nelle primavere di nostra storia, in una vasta aurora di Arias!

14 O grandi linee delle pianure e delle montagne, dove io vissi tanti anni! Con lunga, inconscia fantasia, io vi venni trasferendo al mondo dell’uomo e della storia...

15 Le sagre del lavoro. Il maniscalco, qui presso, che battendo sull’incudine, desta un suono festivo di campane a martello. Tutte le voci, liete, cupe, vivaci, monotone che lo strumento degli operai, picchiando, risveglia dalla muta materia... I concerti spontanei - dolci sagre dei pascoli - creati dai campani degli armenti e dei greggi, quando discendono a sera...

16 I riposi, gli scioperi, le domeniche della millanime fatica umana, riflessi nell’aria, nei cieli, negli ozi delle nuvole vaganti...

17 Senso solenne di sciopero: Pallidi, muti, colle braccia incrociate a contemplar le cose.

18 Il fluente specchiarsi delle patrie e dei secoli nello spirito del singolo uomo.

19 Un dramma nella Crociata. Immaginare un conflitto di fede, tra un guerriero credente nel puro ideale dell’Impresa e un altro che vi scoprì l’ingordo interesse terreno.

20 Religione strumento di eroi. Alessandro che si fa chiamar Dio; Garibaldi che, entrato in Napoli, ordina ai sacerdoti il miracolo di San Gennaro. Ma ogni elemento profano sembra perdersi nel combinarsi della religione con la terra, tanto la terra è (mancano una o due righe nella copia citata)

21 Dai graniti delle Alpi, dai solchi lunghi della terra, dagli influssi della storia, nascono questi miei poemi, nelle età geologiche dell’anima mia. Lenta l’opera mia, lenta l’ignuda mia gloria si farà, come la rupe...

22 I semplici schemi delle fanfare militari, che fan fiorire di visi i balconi e le finestre, passando, pei mille villaggi d’Italia.

23 Sull’onda delle campane che fluttua nei cieli si culla dolorosamente una donna, una donna... Ella s’accosta a me, s’allontana, nuotando per lo spazio e per il tempo. Ora io la vedo laggiù, verso dove si estende tutto ciò che non vissi nella troppo immatura gioventù... Ora mi si fa vicina, come a gridarmi l’invito, l’invito a crearmi, finalmente, per tutto che io posso essere, prima che il tempo si involi...

24 Sali alla patria del Silenzio... Come un dio puro essa ama le effusioni del verde e dell’azzurro e cerca i pascoli alpini e siede in riva ai laghi della montagna, adorando e pregando quelle inanimate grandezze perché sappiano essere belle senza parole. Esso addormenta sotto la pigra malia del suo sguardo i paesetti perduti nei seni, nelle valli, negli sfondi aperti, affidandoli all’amor fantasioso della sua sorella Lontananza...

25 Per le grandi linee melodiche e sinfoniche. Il solenne che c’è nelle semplici e gravi cantilene dei salmi, del Tedeum, dei vespri (ricordi il tuo San Lorenzo?) come in certe cadenze finali: omnes generationes... Il ritmo del periodar di Mazzini, pieno di lentezza, di pathos, di ritorni; ritmo augusto, fedele, monotono come una religione. Sfondi di popoli e di civiltà dai grandi libri sociali e storici (le tue epopee future); sensazione ideologica che può venire, ad esempio, dagli Apôtres di Renan, con tutto il mondo romano-giudaico trasfigurantesi nella evoluzione del momento maturo e fatale.

26 Preso dal dominante pensiero della continuità collegante fra loro tutti gli elementi e gli ordini dell’essere, le forme, vive o brutte che fossero, egli le vedeva tutte come uno svolgimento della terra. Ma un giorno si trovò troppo solo in questo suo vivere l’universo, in questo animato consentire col Tutto. Oh una donna che l’aiutasse a conciliare l’universo col suo sé, col suo essere troppo sperduto nell’ampiezza sterminata del suo medesimo sogno!

27 Effetto dei grandi panorami, senso che popola i tempi e gli spazi di stirpi e di eroi, provato in due, uomo e donna, in viaggio, nei lunghi silenzi, nelle pause dei colloqui appassionati (mancano una o due righe nella copia citata) una vetta, da una riva di mare, da tutti i punti onde si apra un orizzonte vastissimo, o materiale o ideale... Fide concomitanti dell’amore: visioni che, penetrate dall’amore, rendono l’amore più completo.

28 ...Svolgevasi il grande arco dell’iride. Ella si affisò nel gran vano aereo sott’esso e vide le albe roride della storia, e additò al compagno le patrie lontane entro il passato e le sognate, là, nel futuro...

29 ...Pioveva... sentisti? Pioveva come non vista rugiada il mio pensiero su te. Aveva, sfiorando i campi, raccolti tutti gli aromi, aveva, traversando lo spazio, raccolte tutte le luci, serene, intense, vaporose: or muta, invisibile rugiada, pioveva il mio pensiero su te...

30 Nelle miniere della psiche oscura, fatte di oscuri giacimenti, balenano gemme disperse, tralucono vene sinuose, che non saranno estratte, che non saranno lavorate mai. Quanta parte di me sarà taciuta!

31 Un socialista (Barbato?) che va in Grecia a combattere per dimostrare la consapevolezza del sacrificio; per isvolgere potenze di eroismo dal proprio partito essenzialmente economico; per convalidare col sangue i diritti dell’internazionale.

32 Oh voluttà di camminar coi fiumi impetuosi liberi selvaggi !...

33 La mattina, dopo specialmente una amicale baldoria, quel senso di malcerte speranze sessuali, che poi non sono se non le iridescenze dei desideri...

34 Guardando, nell’attesa di una donna, dalla strada di S... alle praterie falciate, giù in fondo; ove passano lenti i contadini, placido dramma umano su una scena di pace. Oh benedetti voi, per l’aura di redenzione che spira dalla vostra opera antica!...

35 Altalena del cuor le litanie!

36 L’idea di chi beve lentamente, e pare il suonatore di uno strumento muto, di cui le armonie sono pensieri, immagini, fantasticate passioni.

37 ...Un largo petto giovine di eroe fatto perché le vergini vi si abbattano, con abbandono pesante, come quel d’un’allodola dal cielo.

38 Le geste dei singoli eroi, rapite dalla poesia alla storia, sono le statue dei secoli; quelle, intorno ad esse, dei molti, ne sono gli alti rilievi.

39 Il poetico delle analogie, che allargano, moltiplicano la vita; i fieni verdi, ondeggianti come maree; gli orizzonti vaporosi in pianura, nei colorati tramonti che son valli, montagne, frane, delti di grandi fiumi. Le similitudini, prima che nel gioco dell’arte, sono in realtà di natura.

40 Passano donne con le braccia nude conserte sulla nuca...

41 Il pensiero della bellezza, come un aere soavemente avvelenato, lo seguiva per tutto, tanto più penetrante quanto più vasta e più profonda stendevasi la solitudine intorno...

42 I tuoi pergami, Dio, sono per tutto, purché ci siano intorno dense accolte di cuori... Io nacqui in un fiero paese percorso a mezzo da un sonante fiume, con l’anima rapita vero una nube eterna, alla soglia delle case abitate dal vento, udendo a notte il vento intonar le foreste. Ivi è Belmonte, e la tribuna di rupe, da cui tante volte, nel paesaggio inabitato, sognai di cantar le memorie a popoli che non sono più e di nunziare i presagi a popoli che un giorno saranno. Non cuori visibili intorno; ma un uditorio di anime beventi tutto il destino nelle mie silenziose parole.

43 Ecco, dal campo di tutte le dolorose e gloriose epopee, assorbendo in me, con gli invisibili umori della terra, gli effluvi del sangue e degli eroi, ecco io assurgo vir! Sono un uomo! Ci fu mai grido, ci fu sfida più audace che traversasse l’aria del mondo? Che sono al suo confronto le comete, i globi in creazione, i globi in dissoluzione? Io sono un uomo: sento nei rivoli del mio sangue tutte le fiumane scorrenti pel misterioso universo, sento i popoli, le ere, le storie, tutto il già nato e il nascituro in me...

44 Il fondo collettivo della vita egli lo vedeva, lo sentiva, onnipresente, onnipotente. Ma poi pensava all’eroico appartarsi dei singoli, agli amanti delle solitudini, agli scalatori dei monti, ai valicatori del mare, oltre l’atmosfera magnetica dei vasti influssi sociali, dove, la storia cessa e la vita dell’Uno si raccoglie solo a se medesima. Pensose, fantastiche, passionate, conscie e inconscie anarchie, pagine staccate, voci gridate lontano, ultimi sparsi fiori della storia, del concento innumerevole, delle folte vegetazioni del mondo... Dove andavano esse? A che mete? A spegnere, forse, la vita in un suo ultimo palpito o a sublimarla nella sintesi de’ suoi motivi immortali?

venerdì 19 febbraio 2010

GIOVANNI BERTACCHI LIBRO-WEB. A cura di Claudio Di Scalzo



Bert pop


   

Il poeta chiavennasco, classico obliato della letteratura italiana, che in genere disconosce la geografia letteraria per nomi e poetiche, può trovare la sua “Rinascita” non in qualche convegno, che pure ce ne sono stati di interessanti, ed ai quali anch’io ho partecipato, ma sulla Rete. Inauguro in questo Blog un vero e proprio libro, detto Libro-Web (apparso in prima battuta-telematica sul sito chiavennasco-valtellinese V.A.OL, Valtellina on line, ad inizio duemila) vista la collocazione, avendo come destinatari i navigatori-lettori di Giovanni Bertacchi, per pubblicare in progress la sua opera, in versi e in prosa e i suoi documenti. Caratteristica di questo Libroweb sarà di rivolgersi non solo agli studiosi di poesia e di letteratura, ma ai lettori abituali di poesia, agli abitanti delle valli alpine per sviluppare la cultura regionale, e anche agli studenti dell’università e delle scuole superiori assumendo caratteristiche di manuale. Il blog poi consentirà il dialogo con i lettori e di essere (magari) ospitato in futuro in un Magazine on line più complesso. O nei siti di scuole italiane.

In futuro il Libroweb su Giovanni Bertacchi confluirà, a mia cura, in una edizione su carta che presenterà, antologizzandola per generi, la vasta produzione del poeta.



Claudio Di Scalzo


GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB


Giovanni Bertacchi Libro-web inaugura le sue pagine con la “Lettera al professore di Istambul” che il poeta scrisse nella Pasqua del 1937 in risposta a un professore che nella città sul Bosforo insegnava e che interessato alla sua poesia gli chiedeva notizie e conferme. Sia questa lettera l’occasione per un flash back sulla vita e la poetica dell'autore chiavennasco tanto che dopo gli occhi del professore di Istambul venga letto e visto anche dai navigatori sul la Rete interessati al nostro Gioànin Bertach.



PREFAZIONE AL LIBRO-WEB SU GIOVANNI BERTACCHI
(pubblicato nel 2002 su V.A.O.L)

Il Libro-Web su Giovanni Bertacchi è una sperimentazione. Finora gli autori della letteratura italiana potevano vivere nelle bibliografie, negli studi, nella produzione critica perché le università o le fondazioni o qualsiasi altra istituzione culturale se ne faceva carico, ne diffondeva gli scritti, in sostanza la memoria. La presenza del web, della rete, consente oggi anche un’altra strada, una biforcazione diversa, che può rendere più servigi al poeta e all’autore di quanto possano fare le accademiche istituzioni citate. Il ragionamento del curatore di questo Libro-web è il seguente: Giovanni Bertacchi è il classico obliato dalle università e dalla critica. Per rimetterlo in circolazione sarebbe necessaria la solita trafila di convegni, pubblicazioni con emeriti critici, di secondare riviste di settore, implorare attenzione dal poeta laureato italiano, di turno, in vetta a qualche classifica nelle pubblicazioni. Finora non seguire questa strada, perigliosa, voleva dire, vuol dire, consegnare il poeta e l’autore al culto locale, nella sua città d’origine, Chiavenna, con iniziative tutte incentrate sulla ripetizione e sull’esposizione, anche se laica, di vere e proprie reliquie: cartoline, qualche inedito, fotografie. Le scelte del Libro-web sono altre e vanno oltre questa pur necessaria base di cura  e memoriale custodia: sostanzialmente tre

la prima decostruire l’opera di Giovanni Bertacchi, e attraverso la Rete offrire sull’autore una vera e propria ermeneutica. Ci viene in aiuto Derrida. Il mondo è un insieme di tracce, di memorie, di messaggi che s’intersecano in un continuo rinvio e modificazione di significati. Tutto è relativo. La cultura è soltanto critica della cultura: non ci sono fatti ma interpretazioni. Fanno capolino, ovviamente, i baffoni di Nietzsche. I testi, anche quelli di Bertacchi, non hanno alcuna trascendenza. Ma si può rimescolarne i segni, in un continuo rinvio, che ha come risultato di portarci, sempre più lontano dalle intenzioni originarie dell’autore. È così per tutti, anche per Ungaretti o Apollinaire. E questo è inevitabile, tante volte qualcuno pensasse che la critica abbia il compito, idealistico, di avvicinare a una verità nascosta faticosamente trovabile. Anche Giovanni Bertacchi scriveva perché si muoveva in un universo di scritti. In principio erat scriptura anche per lui come per tutti. Tutto è effimero e caduco, tutto è consegnato alla morte, anche il Libro-web dunque, ma siccome la poesia è la scrittura per eccellenza che impone sempre nuovo senso, come se i segni ri-trovassero continuamente la loro verginità, la poesia e la produzione di Bertacchi avranno sul Web un nuovo significato. 

Senza distinzioni verranno antologizzate poesie, inediti, prose di viaggio, epigrafi, lettere, fotografie, saggi. La seconda scelta riprende e innova l’uso delle testimonianze reliquiarie delle quali abbiamo parlato sopra: proponendo itinerari turistici, sentieri letterari, citazioni, ricette di cucina, dove lo sguardo e il gusto bertacchiano possano incontrare quello di chi viene in Valtellina e Valchiavenna. 

L’ultima, la terza scelta, e affidandomi al perfetto numero tre conto sia di buon auspicio, il Libro-web su Giovanni Bertacchi dialogherà, costantemente, con i lettori-navigatori. Il curatore di questo Libro-web (che avrà una numerazione progressiva dal 1° capitolo in avanti) sarà in continua attesa di consigli, di eventuali inediti, di integrazioni con lettere di lettori, di sponsor, di rapporti con gli enti e le associazioni interessate a questo operazione in progress su Giovanni Bertacchi.




GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB: 1° Capitolo


LETTERA AL PROFESSORE DI ISTAMBUL

Nacqui a Chiavenna in provincia di Sondrio, a pochi chilometri dal confine italo-elvetico dello Spluga e del Maloja, nel febbraio del ‘69 da padre falegname e madre amministrante una modesta drogheria. Dopo la fanciullezza trascorsa con buon profitto, passai gli studi ginnasiali nel Collegio Gallio di Como, dove l’indole fantastica determinò in modo definitivo l’indirizzo del mio spirito verso la poesia. Dei poeti più decisamente preferiti furono l’Aleardi nelle sue grandi visioni panoramiche di natura e storia e il Leopardi, che amai e rivissi sempre più. Mi venivo intanto esercitando in composizioni mie proprie e un gruppetto ne pubblicai sotto lo pseudonimo di Ovidius, nel 1888.

Finiti gli studi universitari nel 1892, con un’arida tesi su Dante da Majano rimatore predantesco, dopo l’intermezzo di un annodi sana vita militare, entrai come incaricato in un ginnasio di Milano. Dal 1901 al 1915 insegnai come professore di ruolo ancora in Ginnasio, fin che alla fine del ‘15 accettai l’invito dell’Università di Padova dove professai fino al termine dell’anno accademico ’35 -’36. La mia attività anche extra scolastica insieme col resto della mia vita quotidiana si svolse quasi tutta nella circoscrizione della mia terra lombarda con preferenza nostalgica, ma non esclusiva né morbosa, per le mie valli native. Da queste condizioni e consuetudini di spirito nacque nel ‘95 il Canzoniere delle Alpi. Negli anni dal ‘93 alla fine del secolo risentii vivamente le correnti ideologiche del tempo che entro me si incontravano con le tendenze risolutamente democratiche natemi spontaneamente fin dalle impressioni della fanciullezza, essendo io uscito da famiglia popolana e garibaldina in un paese fervido di sensi garibaldini e mazziniani. Lessi in quegli anni assai più libri di cultura sociale che letteraria, abbeverandomi alle sorgive dei fatti sociali rivelantisi al di là e al di sotto delle grandi sovrastrutture ideali, popolando gli orizzonti della immensa pianura d’una fluttuante visione di popoli incamminati nei nuovi Futuri e denudando, a schema nudo di storia elementare e primigenia, la mia fantasticante natura di poeta.

Da questo fermento vissuto con gagliarda ingenuità cioè in uno stato d’animo che chiamerei naturale, tanto m’ero fatto primitivo in esso, nacque nel ‘98 il volume dei Poemetti lirici, improntato nella sua prima parte a quel ciclo che chiamerei sociologico del mio pensiero. In quello stesso anno, subito dopo i dolorosi fatti di Milano, per un mio travaglio di coscienza abbandonai la scuola e fui per alcuni mesi ospite della Bregaglia nei Grigioni, dove seguitai le mie trame liriche suggeritemi dai luoghi e bevvi a larghi fiati il senso del vasto mondo, e lessi giorno per giorno lungo la tonante Mera quasi tutto Mazzini che in parte mi richiamò alla passione storico-idealistica precedente il mio marxismo e che poco dopo tentai di riconsiderare alla luce del materialismo storico in una sorte di parallelo tra Mazzini e Marx, concepito con troppa semplicità e senza il necessario apparato critico e pubblicato attorno al ‘900 in un volumetto sul quale vorrei ritornare con più evoluta e matura coscienza. Questo fondo positivistico-idealistico mi rimase poi nell’anima anche negli anni successivi durante i quali più varie e pittoresche esperienze di vita intersecarono di nuove interferenze i filoni della mia poesia che si svariò in motivi naturalistici e italici nei rispettivi volumi Liriche umane e Alle sorgenti del 1903 e del 1906 con di mezzo una novella poetica Le malie del passato.

Dal ‘10 al ‘12 mi si impose un lungo periodo di riposo per motivi di salute, senza che però la dolce “matta di casa” mi abbandonasse. tanto che venni ricamando la mia solitudine e il mio raccoglimento di quelle rime che raccolsi sotto il titolo A fior di silenzio che ne determina il carattere prevalentemente crepuscolare sebbene più intimamente risentito e robusto di quanto sia proprio di una simile scuola poetica. Prima di questo momento avevo da qualche anno iniziato una certa attività che chiamerei oratoria se del vero oratore io non sentissi mancarmi la qualità. Nell’irredentismo che in fondo era per qualsiasi partito un problema di giustizia umana, io vedevo continuare la buona tradizione della democrazia garibaldina. Con tali disposizioni di sentimenti e di pensiero mi trovai di fronte alla guerra mondiale di cui la notizia mi sorprese lassù tra le mie grandi montagne. Durante il periodo della guerra chiesi di essere assunto fra gli inermi interpreti della potente misteriosa collettività che operava, combatteva, moriva lungo le linee sorretta spesso soltanto da un’oscura intuizione di ciò che reclamava quel sacrificio.

Conchiusa in qualche modo la pace, risentii l’inquietudine di un enorme “evento mal digerito” dalla storia. Visitai col Touring Fiume dannunziana e ne riportai un’impressione mista di ingenuità e di forza e quasi il presenso d’una svolta della storia, verso l’inconsaputo avveramento dei pronostici schematicamente esposti nel Manifesto dei Comunisti de1 1848. Da allora per conto mio mi riorientai su questo polo storico ideale secondo quanto venni abbozzando nei due volumi successivi A fior di silenzio cioè e in Riflessi di orizzonti del 1919 e in Il perenne domani del ‘29 tra i quali sta un volume divulgativo su Mazzini. Nella primavera del ‘26 e ‘27 fui inviato per una breve missione scolastica a Salonicco, dove rivissi quel senso di esotismo che è come l’alone in cui si diffonde il nucleo patrio della mia intima umanità: parlai anche a un convegno di connazionali, quasi tutti di origine israelitica e riportai una somma di multiformi emozioni che mi è caro rievocare scrivendo a Lei, italiano, in Costantinopoli. Forse anche per questo precedente sentimentale mi sono tanto diffuso comunicando con Lei. Mi abbia in nome di tutto quanto sopra, suo devotissimo e obbligato.

Giovanni Bertacchi Milano, Via Timavo 53