venerdì 19 febbraio 2010

GIOVANNI BERTACCHI LIBRO-WEB. A cura di Claudio Di Scalzo



Bert pop


   

Il poeta chiavennasco, classico obliato della letteratura italiana, che in genere disconosce la geografia letteraria per nomi e poetiche, può trovare la sua “Rinascita” non in qualche convegno, che pure ce ne sono stati di interessanti, ed ai quali anch’io ho partecipato, ma sulla Rete. Inauguro in questo Blog un vero e proprio libro, detto Libro-Web (apparso in prima battuta-telematica sul sito chiavennasco-valtellinese V.A.OL, Valtellina on line, ad inizio duemila) vista la collocazione, avendo come destinatari i navigatori-lettori di Giovanni Bertacchi, per pubblicare in progress la sua opera, in versi e in prosa e i suoi documenti. Caratteristica di questo Libroweb sarà di rivolgersi non solo agli studiosi di poesia e di letteratura, ma ai lettori abituali di poesia, agli abitanti delle valli alpine per sviluppare la cultura regionale, e anche agli studenti dell’università e delle scuole superiori assumendo caratteristiche di manuale. Il blog poi consentirà il dialogo con i lettori e di essere (magari) ospitato in futuro in un Magazine on line più complesso. O nei siti di scuole italiane.

In futuro il Libroweb su Giovanni Bertacchi confluirà, a mia cura, in una edizione su carta che presenterà, antologizzandola per generi, la vasta produzione del poeta.



Claudio Di Scalzo


GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB


Giovanni Bertacchi Libro-web inaugura le sue pagine con la “Lettera al professore di Istambul” che il poeta scrisse nella Pasqua del 1937 in risposta a un professore che nella città sul Bosforo insegnava e che interessato alla sua poesia gli chiedeva notizie e conferme. Sia questa lettera l’occasione per un flash back sulla vita e la poetica dell'autore chiavennasco tanto che dopo gli occhi del professore di Istambul venga letto e visto anche dai navigatori sul la Rete interessati al nostro Gioànin Bertach.



PREFAZIONE AL LIBRO-WEB SU GIOVANNI BERTACCHI
(pubblicato nel 2002 su V.A.O.L)

Il Libro-Web su Giovanni Bertacchi è una sperimentazione. Finora gli autori della letteratura italiana potevano vivere nelle bibliografie, negli studi, nella produzione critica perché le università o le fondazioni o qualsiasi altra istituzione culturale se ne faceva carico, ne diffondeva gli scritti, in sostanza la memoria. La presenza del web, della rete, consente oggi anche un’altra strada, una biforcazione diversa, che può rendere più servigi al poeta e all’autore di quanto possano fare le accademiche istituzioni citate. Il ragionamento del curatore di questo Libro-web è il seguente: Giovanni Bertacchi è il classico obliato dalle università e dalla critica. Per rimetterlo in circolazione sarebbe necessaria la solita trafila di convegni, pubblicazioni con emeriti critici, di secondare riviste di settore, implorare attenzione dal poeta laureato italiano, di turno, in vetta a qualche classifica nelle pubblicazioni. Finora non seguire questa strada, perigliosa, voleva dire, vuol dire, consegnare il poeta e l’autore al culto locale, nella sua città d’origine, Chiavenna, con iniziative tutte incentrate sulla ripetizione e sull’esposizione, anche se laica, di vere e proprie reliquie: cartoline, qualche inedito, fotografie. Le scelte del Libro-web sono altre e vanno oltre questa pur necessaria base di cura  e memoriale custodia: sostanzialmente tre

la prima decostruire l’opera di Giovanni Bertacchi, e attraverso la Rete offrire sull’autore una vera e propria ermeneutica. Ci viene in aiuto Derrida. Il mondo è un insieme di tracce, di memorie, di messaggi che s’intersecano in un continuo rinvio e modificazione di significati. Tutto è relativo. La cultura è soltanto critica della cultura: non ci sono fatti ma interpretazioni. Fanno capolino, ovviamente, i baffoni di Nietzsche. I testi, anche quelli di Bertacchi, non hanno alcuna trascendenza. Ma si può rimescolarne i segni, in un continuo rinvio, che ha come risultato di portarci, sempre più lontano dalle intenzioni originarie dell’autore. È così per tutti, anche per Ungaretti o Apollinaire. E questo è inevitabile, tante volte qualcuno pensasse che la critica abbia il compito, idealistico, di avvicinare a una verità nascosta faticosamente trovabile. Anche Giovanni Bertacchi scriveva perché si muoveva in un universo di scritti. In principio erat scriptura anche per lui come per tutti. Tutto è effimero e caduco, tutto è consegnato alla morte, anche il Libro-web dunque, ma siccome la poesia è la scrittura per eccellenza che impone sempre nuovo senso, come se i segni ri-trovassero continuamente la loro verginità, la poesia e la produzione di Bertacchi avranno sul Web un nuovo significato. 

Senza distinzioni verranno antologizzate poesie, inediti, prose di viaggio, epigrafi, lettere, fotografie, saggi. La seconda scelta riprende e innova l’uso delle testimonianze reliquiarie delle quali abbiamo parlato sopra: proponendo itinerari turistici, sentieri letterari, citazioni, ricette di cucina, dove lo sguardo e il gusto bertacchiano possano incontrare quello di chi viene in Valtellina e Valchiavenna. 

L’ultima, la terza scelta, e affidandomi al perfetto numero tre conto sia di buon auspicio, il Libro-web su Giovanni Bertacchi dialogherà, costantemente, con i lettori-navigatori. Il curatore di questo Libro-web (che avrà una numerazione progressiva dal 1° capitolo in avanti) sarà in continua attesa di consigli, di eventuali inediti, di integrazioni con lettere di lettori, di sponsor, di rapporti con gli enti e le associazioni interessate a questo operazione in progress su Giovanni Bertacchi.




GIOVANNI BERTACCHI LIBROWEB: 1° Capitolo


LETTERA AL PROFESSORE DI ISTAMBUL

Nacqui a Chiavenna in provincia di Sondrio, a pochi chilometri dal confine italo-elvetico dello Spluga e del Maloja, nel febbraio del ‘69 da padre falegname e madre amministrante una modesta drogheria. Dopo la fanciullezza trascorsa con buon profitto, passai gli studi ginnasiali nel Collegio Gallio di Como, dove l’indole fantastica determinò in modo definitivo l’indirizzo del mio spirito verso la poesia. Dei poeti più decisamente preferiti furono l’Aleardi nelle sue grandi visioni panoramiche di natura e storia e il Leopardi, che amai e rivissi sempre più. Mi venivo intanto esercitando in composizioni mie proprie e un gruppetto ne pubblicai sotto lo pseudonimo di Ovidius, nel 1888.

Finiti gli studi universitari nel 1892, con un’arida tesi su Dante da Majano rimatore predantesco, dopo l’intermezzo di un annodi sana vita militare, entrai come incaricato in un ginnasio di Milano. Dal 1901 al 1915 insegnai come professore di ruolo ancora in Ginnasio, fin che alla fine del ‘15 accettai l’invito dell’Università di Padova dove professai fino al termine dell’anno accademico ’35 -’36. La mia attività anche extra scolastica insieme col resto della mia vita quotidiana si svolse quasi tutta nella circoscrizione della mia terra lombarda con preferenza nostalgica, ma non esclusiva né morbosa, per le mie valli native. Da queste condizioni e consuetudini di spirito nacque nel ‘95 il Canzoniere delle Alpi. Negli anni dal ‘93 alla fine del secolo risentii vivamente le correnti ideologiche del tempo che entro me si incontravano con le tendenze risolutamente democratiche natemi spontaneamente fin dalle impressioni della fanciullezza, essendo io uscito da famiglia popolana e garibaldina in un paese fervido di sensi garibaldini e mazziniani. Lessi in quegli anni assai più libri di cultura sociale che letteraria, abbeverandomi alle sorgive dei fatti sociali rivelantisi al di là e al di sotto delle grandi sovrastrutture ideali, popolando gli orizzonti della immensa pianura d’una fluttuante visione di popoli incamminati nei nuovi Futuri e denudando, a schema nudo di storia elementare e primigenia, la mia fantasticante natura di poeta.

Da questo fermento vissuto con gagliarda ingenuità cioè in uno stato d’animo che chiamerei naturale, tanto m’ero fatto primitivo in esso, nacque nel ‘98 il volume dei Poemetti lirici, improntato nella sua prima parte a quel ciclo che chiamerei sociologico del mio pensiero. In quello stesso anno, subito dopo i dolorosi fatti di Milano, per un mio travaglio di coscienza abbandonai la scuola e fui per alcuni mesi ospite della Bregaglia nei Grigioni, dove seguitai le mie trame liriche suggeritemi dai luoghi e bevvi a larghi fiati il senso del vasto mondo, e lessi giorno per giorno lungo la tonante Mera quasi tutto Mazzini che in parte mi richiamò alla passione storico-idealistica precedente il mio marxismo e che poco dopo tentai di riconsiderare alla luce del materialismo storico in una sorte di parallelo tra Mazzini e Marx, concepito con troppa semplicità e senza il necessario apparato critico e pubblicato attorno al ‘900 in un volumetto sul quale vorrei ritornare con più evoluta e matura coscienza. Questo fondo positivistico-idealistico mi rimase poi nell’anima anche negli anni successivi durante i quali più varie e pittoresche esperienze di vita intersecarono di nuove interferenze i filoni della mia poesia che si svariò in motivi naturalistici e italici nei rispettivi volumi Liriche umane e Alle sorgenti del 1903 e del 1906 con di mezzo una novella poetica Le malie del passato.

Dal ‘10 al ‘12 mi si impose un lungo periodo di riposo per motivi di salute, senza che però la dolce “matta di casa” mi abbandonasse. tanto che venni ricamando la mia solitudine e il mio raccoglimento di quelle rime che raccolsi sotto il titolo A fior di silenzio che ne determina il carattere prevalentemente crepuscolare sebbene più intimamente risentito e robusto di quanto sia proprio di una simile scuola poetica. Prima di questo momento avevo da qualche anno iniziato una certa attività che chiamerei oratoria se del vero oratore io non sentissi mancarmi la qualità. Nell’irredentismo che in fondo era per qualsiasi partito un problema di giustizia umana, io vedevo continuare la buona tradizione della democrazia garibaldina. Con tali disposizioni di sentimenti e di pensiero mi trovai di fronte alla guerra mondiale di cui la notizia mi sorprese lassù tra le mie grandi montagne. Durante il periodo della guerra chiesi di essere assunto fra gli inermi interpreti della potente misteriosa collettività che operava, combatteva, moriva lungo le linee sorretta spesso soltanto da un’oscura intuizione di ciò che reclamava quel sacrificio.

Conchiusa in qualche modo la pace, risentii l’inquietudine di un enorme “evento mal digerito” dalla storia. Visitai col Touring Fiume dannunziana e ne riportai un’impressione mista di ingenuità e di forza e quasi il presenso d’una svolta della storia, verso l’inconsaputo avveramento dei pronostici schematicamente esposti nel Manifesto dei Comunisti de1 1848. Da allora per conto mio mi riorientai su questo polo storico ideale secondo quanto venni abbozzando nei due volumi successivi A fior di silenzio cioè e in Riflessi di orizzonti del 1919 e in Il perenne domani del ‘29 tra i quali sta un volume divulgativo su Mazzini. Nella primavera del ‘26 e ‘27 fui inviato per una breve missione scolastica a Salonicco, dove rivissi quel senso di esotismo che è come l’alone in cui si diffonde il nucleo patrio della mia intima umanità: parlai anche a un convegno di connazionali, quasi tutti di origine israelitica e riportai una somma di multiformi emozioni che mi è caro rievocare scrivendo a Lei, italiano, in Costantinopoli. Forse anche per questo precedente sentimentale mi sono tanto diffuso comunicando con Lei. Mi abbia in nome di tutto quanto sopra, suo devotissimo e obbligato.

Giovanni Bertacchi Milano, Via Timavo 53