dal CANZONIERE
DELLE ALPI, 1895
Campana alpestre
O tu che gemi nel
silenzio immenso
patetica armonia
che non hai senso,
e dici tante cose,
chiedi tu forse
all’aria umida e muta
la canzon degli
uccelli e la perduta
fragranza delle
rose?
Ridici forse
teneri misteri
di lontane memorie
a’ cimiteri
del piano e del
pendio,
o forse annunzi
desolatamente
alla volta de’
cieli indifferente
il tramonto di
Dio?
Campane all’alba
I
Fu lei, la bella
chiesa là presso al cimitero,
che stamattina
all’alba mi diede il ben venuto:
oh, dolce
meraviglia del riscosso pensiero
quel riudir dai
vecchi bronzi il fedel saluto!
Dei mal ridesti
sensi nel crepuscolo muto,
gli affetti, le
memorie, le immagini del vero
paion venir da un
sogno del bel mondo perduto,
d’un sogno hanno
le intense dolcezze ed il mistero.
Squillavan le
campane: dal patetico suono
pioveva un’onda
all’anima d’indicibili moti,
uscia lenta una
fuga di ricordi remoti.
L’irreparabil
tempo, lo scorato abbandono
di tanti affetti,
il vago desio d’un bene incerto
gemea nell’ora
dolce, nel silenzio deserto.
II
Diceano i vecchi
bronzi: - Nel crepuscol del giorno,
sempre così
cantiamo la nostra avemaria:
noi siam l’amico
genio dell’Alpe tua natia;
sia benedetto, o
povero fanciullo, il tuo ritorno.
Odi? Al richiamo
deste, dalle montagne intorno,
rispondon le romite
chiese per l’alba pia:
noi siam della tua
valle l’antica poesia…
Sia benedetto, o
povero fanciullo, il tuo ritorno.
Sapessi come è
bello quassù l’inverno! Al cielo
terso le calme
effondonsi perennemente chiare:
biancheggian di
recenti nevi i balzi dirotti.
Vieni dell’Alpe ai
brevi soli, alle pure notti
de’ verni tuoi: la
bianca immensità nel velo
de’ suoi vapori
accolga le tue larve più care.
Chiesetta alpina
O di quiete
mistica dimora,
tu nello spazio
abbandonata stai;
non voto umano;
solo omaggio avrai
le intatte nevi e
l’aromata flora.
Qui ne l’immensità
perdesti l’ora
vana; ma sempre tu
la sentirai
La dolce fede che
non passa mai,
l’aura che dalle
cose alma vapora.
Oh, nella solitudine
infinita,
mesto esilio
dell’anime! – All’incanto
muto dei cieli,
alta sul mondo e sola
piange una
squilla, arcana eco, parola
d’ineffabil
promessa e di rimpianto
che geme nella
vita… oltre la vita…
Cimitero
Là smarrito del
cielo in su lo sfondo,
dal solitario
culmine montano
accenna forse
all’orizzonte arcano
d’in ignoto di là,
d’un altro mondo.
Tornan dal pio
terren gli atomi al sano
aere, di forme
agitator fecondo:
ma il torrente là
giù, dal cupo fondo,
canta alla morte,
al desolato Invano.
Narra il breve
recinto umili storie
d’affetti e dolor;
di sulle glebe
parlano al vento
l’umili memorie.
Là nei funebri dì
la fede sale
come un lamento:
una deserta plebe
da POEMETTI
LIRICI, 1898
Dalla terra al
cielo
Una volta
dall’organo di chiesa
guardai la turba
dei fedeli: - Ognuno
di quei raccolti
cuori
portò qua dentro
assai piccola cosa;
umili affetti ed
umili dolori,
qualche suo dolce
morto,
o qualche suo
lontano,
e ne domanda qui
pace e conforto
nelle lente
armonie di un rito arcano.
Pur nella turba
dei raccolti cuori
nasce una cosa
immensa.
Laggiù si prega
per gli affanni umani;
ma il canto dei
ricordi e delle pene,
delle modeste e
ignote ansie terrene,
batte, salendo,
per l’inconsolata
vòlta dei muti
cieli,
si propaga in
remota eco di aneli
singhiozzi, e di
promesse, e di desìo.
E l’eco umana si
tramuta in Dio. –
NOTA
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