domenica 1 febbraio 2015

GIOVANNI BERTACCHI LIBRO-WEB 14: "Il sacro del positivista" piccola antologia cura di Claudio Di Scalzo






dal CANZONIERE DELLE ALPI, 1895


Campana alpestre

O tu che gemi nel silenzio immenso
patetica armonia che non hai senso,
e dici tante cose,

chiedi tu forse all’aria umida e muta
la canzon degli uccelli e la perduta
fragranza delle rose?

Ridici forse teneri misteri
di lontane memorie a’ cimiteri
del piano e del pendio,

o forse annunzi desolatamente
alla volta de’ cieli indifferente
il tramonto di Dio?



Campane all’alba

I

Fu lei, la bella chiesa là presso al cimitero,
che stamattina all’alba mi diede il ben venuto:
oh, dolce meraviglia del riscosso pensiero
quel riudir dai vecchi bronzi il fedel saluto!

Dei mal ridesti sensi nel crepuscolo muto,
gli affetti, le memorie, le immagini del vero
paion venir da un sogno del bel mondo perduto,
d’un sogno hanno le intense dolcezze ed il mistero.

Squillavan le campane: dal patetico suono
pioveva un’onda all’anima d’indicibili moti,
uscia lenta una fuga di ricordi remoti.

L’irreparabil tempo, lo scorato abbandono
di tanti affetti, il vago desio d’un bene incerto
gemea nell’ora dolce, nel silenzio deserto.

II

Diceano i vecchi bronzi: - Nel crepuscol del giorno,
sempre così cantiamo la nostra avemaria:
noi siam l’amico genio dell’Alpe tua natia;
sia benedetto, o povero fanciullo, il tuo ritorno.

Odi? Al richiamo deste, dalle montagne intorno,
rispondon le romite chiese per l’alba pia:
noi siam della tua valle l’antica poesia…
Sia benedetto, o povero fanciullo, il tuo ritorno.

Sapessi come è bello quassù l’inverno! Al cielo
terso le calme effondonsi perennemente chiare:
biancheggian di recenti nevi i balzi dirotti.

Vieni dell’Alpe ai brevi soli, alle pure notti
de’ verni tuoi: la bianca immensità nel velo
de’ suoi vapori accolga le tue larve più care.






Chiesetta alpina

O di quiete mistica dimora,
tu nello spazio abbandonata stai;
non voto umano; solo omaggio avrai
le intatte nevi e l’aromata flora.

Qui ne l’immensità perdesti l’ora
vana; ma sempre tu la sentirai
La dolce fede che non passa mai,
l’aura che dalle cose alma vapora.

Oh, nella solitudine infinita,
mesto esilio dell’anime! – All’incanto
muto dei cieli, alta sul mondo e sola

piange una squilla, arcana eco, parola
d’ineffabil promessa e di rimpianto
che geme nella vita… oltre la vita…





Cimitero

Là smarrito del cielo in su lo sfondo,
dal solitario culmine montano
accenna forse all’orizzonte arcano
d’in ignoto di là, d’un altro mondo.

Tornan dal pio terren gli atomi al sano
aere, di forme agitator fecondo:
ma il torrente là giù, dal cupo fondo,
canta alla morte, al desolato Invano.

Narra il breve recinto umili storie
d’affetti e dolor; di sulle glebe
parlano al vento l’umili memorie.

Là nei funebri dì la fede sale
come un lamento: una deserta plebe
chiama dal monte all’ultimo ideale.







da POEMETTI LIRICI, 1898


Dalla terra al cielo

Una volta dall’organo di chiesa
guardai la turba dei fedeli: - Ognuno
di quei raccolti cuori
portò qua dentro assai piccola cosa;
umili affetti ed umili dolori,
qualche suo dolce morto,
o qualche suo lontano,
e ne domanda qui pace e conforto
nelle lente armonie di un rito arcano.

Pur nella turba dei raccolti cuori
nasce una cosa immensa.
Laggiù si prega per gli affanni umani;
ma il canto dei ricordi e delle pene,
delle modeste e ignote ansie terrene,
batte, salendo, per l’inconsolata
vòlta dei muti cieli,
si propaga in remota eco di aneli
singhiozzi, e di promesse, e di desìo.
E l’eco umana si tramuta in Dio. –




NOTA


Nessun commento:

Posta un commento